La coscienza: inevitabile costante per la comprensione della vita umana

L’EDITORIALE- Dalle parole di un romanzo che credo fosse “Gita al Faro” di Virginia Woolf, mi colpì una frase che ho collegato istintivamente al concetto di coscienza: «Ella sapeva senza conoscere». Da qui, pensai subito a tutte quelle circostanze che non sono spiegate, non necessitano di essere dimostrate, ma soprattutto fanno del silenzio il loro asso centrale.

Se la conoscenza è il frutto di una metodologia scientifica in rapporto alle esperienze e gli esperimenti di diversi settori della cultura, con la ricerca, la coscienza sembra aver progredito in maniera anonima e naturale: rispetto ai secoli passati, per lo meno in occidente, nonostante siamo aumentati di numero, in percentuale crediamo tutti molto meno ai preconcetti religiosi. L’Europa ha caratterizzato  il perno di una rivoluzione spirituale dal Medioevo fino all’età dei lumi nel settecento, ma oggi noi europei siamo meno credenti rispetto al passato. Nel nuovo mondo delle Americhe, si era partiti a suo tempo per costruire una terra di pace e prosperità economica, che spinse diverse generazioni a cambiare patria per diritti e libertà poco attuabili nella terra d’origine. Forse è l’Oriente uno tasselli più curiosi. Culture millenarie e antiche che dalle conoscenze ancestrali son passate alla propria rivendicazione per diventare potenze economiche mondiali.

Non è propriamente vero che le religioni, o i diritti e libertà in occidente non siano stati formanti, così come il concetto e la disciplina a coltivare la propria anima a oriente, sia stata inutile, anzi. Solo che è interessante vedere come una cosa, un fenomeno, parta, si sviluppi in una maniera e diventi altro. Questo perché i potenti effettuano costantemente manovre di resistenza, nel senso che vi sono spesso tornaconti e vantaggi per sé a dispetto del gruppo. Si pensi alle guerre per le risorse energetiche, a crisi economiche indotte o cessioni di sovranità. Bene, è proprio qui che la coscienza collettiva di un popolo comincia a prendere le misure. Probabilmente ci siamo accorti che la nostra più che fede era paura di un Dio, e dei suoi fedeli, tramutata in terrore del giudizio e solitudini interiori, che i diritti concessi dalla modernità industriale, oggi tecnologica, ci hanno reso dipendenti dai processi digitali, ledendo inventive che solo l’analogico aveva, e che è più rassicurante specchiarsi in pergamene, praticare riti e costruire altari, piuttosto che ammettere le nostre imperfezioni. La mia non è una provocazione, bensì una costatazione di come noi umani siamo animali sociali influenzati dal collettivo dominante. Eminenti scienziati hanno rivelato che la coscienza ha un sistema di misura: la consapevolezza. Essa, ad ogni individuo arricchito dall’esperienza, lo fa agire, riprovare, egli si trasforma in quel soggetto che rinnovato è capace di tramutare gli errori in arricchimento e i risultati in passaggi vitali alla sua evoluzione.

Oggi, più che mai, necessitiamo di verità, passione per la vita e una ritrattazione della storia, soprattutto nelle parti antiche, che ci hanno propinato. È la consapevolezza di cosa potremmo essere, individualmente e collettivamente, senza che nessuno perda dignità e non venga imposta una singola visione. Molte poche volte a grandi menti o benevoli anime è stato concesso di esprimersi ed elargire benefici all’umanità. A distanza di anni, decenni e secoli, viene fuori cosa sarebbe potuto andare diversamente e in meglio. Forse è giunto il momento di capire chi potremmo essere, guardando chi guida le masse negli occhi, senza smettere di provare a gettare il cuore oltre l’ostacolo e in aggiunta, la mente attiva.

Paolo Cavaleri

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