Il mistero delle Azzorre

di Davide Baroni Scrittore

​​ARCHEOMITO – Le Azzorre, un arcipelago vulcanico situato nel mezzo dell’oceano Atlantico, sono state a lungo oggetto di speculazioni riguardo alla possibile esistenza di civiltà pre-portoghesi. Recenti scoperte archeologiche e geologiche suggeriscono che queste isole potrebbero aver ospitato insediamenti umani ben prima dell’arrivo dei portoghesi nel XV secolo.​

Uno dei siti più emblematici è Grota do Medo sull’isola di Terceira. Qui, sono state rinvenute strutture megalitiche e incisioni rupestri che indicano una presenza umana precedente alla colonizzazione portoghese. 

Le datazioni al radiocarbonio di alcuni resti di zanzare trovate sul fondo di una vasca scavata artificialmente suggeriscono che l’attività umana in quest’area risalga almeno all’XI secolo o anche prima. Le strutture includono bacini scavati nella roccia, costruzioni megalitiche e incisioni di coppelle. Questi elementi presentano somiglianze con opere del Neolitico europeo, suggerendo possibili connessioni culturali o influenze comuni.​

Un altro elemento intrigante sono le cart ruts presenti su diverse isole delle Azzorre. Questi solchi paralleli incisi nella roccia vulcanica sono simili a quelli trovati in altre parti del mondo e la loro origine rimane oggetto di dibattito.

Alcuni studi suggeriscono che potrebbero risalire a periodi pre-portoghesi, indicando l’esistenza di una civiltà avanzata capace di costruire tali infrastrutture.​

Lungo la costa occidentale del Monte Brasil, a poco sopra il livello del mare, sono visibili tre grotte che sembrano scavate a mano nella roccia vulcanica, un’opera che richiede una tecnica e una conoscenza avanzata del territorio. 

Sebbene questi ipogei siano di piccole dimensioni, la loro struttura e le caratteristiche architettoniche sollevano interrogativi sulle capacità di chi li abbia costruiti.

La grotta nel sito 1 misura 5m x 4m con un piccolo bacino d’acqua scavato nella parete posteriore. Ci sono due canali di raccolta dell’acqua, uno su ogni lato del bacino. Un interessante effetto può essere osservato al tramonto dell’equinozio, quando dall’ingresso penetrano dei raggi di sole che illuminano la parete posteriore, incorniciando di luce il bacino posto al suo centro. 

La grotta del sito 2 ha una forma a conchiglia e una profondità di circa sette metri con una pendenza di 6,7° e un canale attorno alle pareti che si collega a un secondo canale esterno. La combinazione di questi elementi garantisce che qualsiasi liquido versato all’interno fuoriesca. Quattro bacini in una disposizione asimmetrici sono collegati al canale interno.

Anche questa grotta è orientata verso ovest, permettendo alla luce del sole di entrare durante il tramonto. Un primo studio archeo-astronomico condotto da Fernando Pimenta ha rivelato un fenomeno straordinario: dalla data del solstizio d’inverno in poi, la luce del sole entra nella grotta e illumina la parete sinistra, segnando simbolicamente l’inverno e l’autunno. Quando si arriva all’equinozio di primavera, la luce inizia a illuminare la parete posteriore invertendo il suo corso seguendo un movimento antiorario.

Questo fenomeno potrebbe suggerire che le grotte non solo servivano come rifugi o luoghi di culto, ma che avessero anche una funzione legata al calendario solare, un metodo di misurazione del tempo utilizzato da una civiltà antica che, probabilmente, conosceva l’astronomia in modo avanzato.

La Grotta 3 ha una profondità di circa sei metri e una pianta a forma di conchiglia, simile alla famosa capasanta di Santiago, questa grotta non solo affascina per la sua geometria, ma per la sua particolare disposizione che incorpora l’acqua nel suo design. La grotta 3 ha le stesse dimensioni della grotta 2, tuttavia la sua camera interna è molto diversa. Presenta alcuni gradini che scendono verso una vasca, con una possibile seduta sul fondo e lungo le pareti, e con una nicchia nell’angolo destro della parete posteriore. L’acqua, alta circa settanta centimetri, crea un’atmosfera mistica, come se la grotta fosse stata concepita per un culto legato all’acqua, alla purificazione o forse a una divinità. Lo scopo di queste grotte, quando e chi le ha costruite non sono noti oggi. Alcune persone anziane, tra cui militari, riportano che dall’inizio alla metà del ventesimo secolo era comune che le persone facessero il bagno nella vasca perché si diceva che l’acqua avesse buone proprietà per la cura della pelle. Tuttavia, non ci sono segni di acqua termale poiché non è stato misurato alcun aumento della temperatura. L’acqua di questa vasca non è potabile oggi: ha livelli molto alti di silice, cloruro e sodio (gli ultimi due sono inequivocabilmente correlati ai depositi di spruzzi marini al suo interno). Ha anche alti livelli di solfato, probabilmente derivati dal degassamento vulcanico. Le stalattiti biogeniche nella grotta 3 sono state misurate e confrontate con stalattiti simili con la stessa composizione da una vicina cisterna per l’acqua con una data di costruzione nota del diciassettesimo secolo. Supponendo una crescita lineare e gli stessi nutrienti e condizioni ambientali, si possono confrontare le due stalattiti per arrivare a una stima dell’età. Ciò suggerisce che le stalattiti della grotta 3, più lunghe di quelle della cisterna per l’acqua, risalirebbero a un periodo compreso tra 2000 e 400 anni fa. Un tentativo fatto per datare questo materiale tramite radiocarbonio ha dato un risultato post 0 BP, probabilmente a causa della contaminazione acquifera.

Il mistero che circonda gli ipogei del Monte Brazil è accentuato dalla loro precisione architettonica e dalla loro funzione apparentemente simbolica. Non esistono prove definitive su chi abbia costruito queste grotte, ma la loro complessità suggerisce che potrebbero essere il prodotto di una civiltà anteriore alla colonizzazione portoghese delle Azzorre.

Alcuni studiosi ritengono che questi ipogei possano essere legati a un antico popolo che aveva una conoscenza profonda delle leggi naturali e astronomiche, forse una cultura pre-portoghese che aveva stabilito contatti con altre civiltà marittime del passato. La posizione strategica delle grotte, la loro relazione con l’acqua e la luce del sole, e la simmetria delle loro strutture fanno pensare a un uso rituale e sacro, dove il cielo, la terra e l’acqua si incontrano in un perfetto equilibrio cosmico.

Il colombario di Lajes, scavato nel tufo vulcanico, presenta caratteristiche simili a strutture funerarie antiche. La sua esistenza nelle Azzorre potrebbe indicare contatti culturali o l’influenza di civiltà neolitiche che hanno lasciato tracce della loro presenza.​

Infine, voglio citare i maroiços dell’isola di Pico, strutture piramidali in pietra che hanno suscitato l’interesse di archeologi e ricercatori per le loro caratteristiche uniche e la possibile origine pre-portoghese. Queste costruzioni, realizzate con pietre basaltiche di origine vulcanica, presentano forme coniche o piramidali, spesso a gradoni, e in alcuni casi includono camere interne accessibili tramite corridoi stretti. 

La distribuzione dei maroiços sull’isola è ampia, con circa 140 strutture identificate in località come Criação Velha, Valverde e São Roque. Molte di queste costruzioni mostrano orientamenti specifici, con assi principali concentrati in due direzioni ortogonali, suggerendo un possibile allineamento astronomico, forse in relazione al solstizio d’estate e alla cima del monte Pico. Le indagini archeologiche condotte dall’Associação Portuguesa de Investigação Arqueológica(APIA) hanno portato alla luce reperti come punte di metallo, ami, manufatti litici e frammenti ceramici, alcuni dei quali potrebbero risalire a periodi precedenti all’arrivo dei portoghesi nel XV secolo. La presenza di pavimentazioni costituite da ciottoli arrotondati di origine marina in alcune strutture, come il sito numero 122, suggerisce l’esistenza di basi abitative per capanne ricoperte d’argilla e ghiaia. La varietà nelle dimensioni, forme e strutture dei maroiços, insieme alla loro distribuzione e orientamento, indica una pianificazione complessa e un lavoro collettivo significativo, difficilmente spiegabile come semplice attività di pulizia del terreno per scopi agricoli, tesi sostenuta ancora oggi dagli accademici. Alcuni ricercatori, come l’archeologo Nuno Ribeiro dell’APIA, ipotizzano che queste piramidi siano state erette molto prima dell’arrivo dei portoghesi e possano rappresentare testimonianze di un’antica civiltà che abitava l’arcipelago. Le somiglianze con strutture piramidali presenti in altre regioni, come la Sicilia e le Canarie, rafforzano l’idea di possibili connessioni culturali e conoscenze condivise tra diverse civiltà antiche. Sebbene alcune teorie suggeriscano che i maroiços siano stati costruiti tra il XVII e il XIX secolo per scopi agricoli, la complessità architettonica, la presenza di camere interne e gli orientamenti astronomici delle strutture sollevano interrogativi sulla loro reale funzione e origine. Ulteriori ricerche e indagini archeologiche sono necessarie per comprendere appieno il significato e la storia di queste enigmatiche costruzioni.

Questi elementi, presi nel loro insieme, indicano la possibilità che le Azzorre siano state abitate da una civiltà avanzata prima dell’arrivo dei portoghesi. Le similitudini con strutture trovate in altre parti del mondo e le datazioni che precedono il XV secolo rafforzano l’ipotesi di una presenza umana antica. Sebbene non ci siano prove definitive che colleghino direttamente queste scoperte alla leggendaria Atlantide, esse suggeriscono che le Azzorre potrebbero essere ciò che resta di una terra emersa abitata da una civiltà avanzata, successivamente sommersa o trasformata da eventi geologici e climatici.

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