Yo soy y yo estoy

di Andrea Sardi

CAFE’ DOMINGUENZ -Sto parlando con Chiara, mentre cammino sul lungomare. E’ in Sudan, ma un’amica, benché lontana, ti par d’averla accanto. “Ho da scrivere l’articolo sul tango; a proposito dell’identità” le dico ad un tratto. “Hai in mente come iniziare?” mi chiede.
“Sai, il tango parla proprio della perdita dell’identità. E’ tutto dedicato a questo, in fondo. Forse per trovare un rimedio dovrei rovistare tra le carte di Horacio Ferrer” le dico, e ridiamo.

E così, nasce quest’articolo, del quale per tanto tempo ho rinviato la scrittura, non so perché.

Chi sono io, chi è ognuno di noi? “Scoprirsi”, “realizzarsi” … realizzare i propri sogni, i propri desideri, dice qualcuno, affermare la propria volontà, dico io. Incapaci di riconoscere noi stessi la nostra identità, cerchiamo fuori di noi una sorta di specchio magico che ci proietti la nostra immagine.

Cerchiamo il riconoscimento, fuori di noi! Già, poi interviene il Destino, il Fato o il Caso (che non son la stessa cosa) o tutt’e tre o quell’accidente che è in noi che ci porta via dal cammino che avevamo intrapreso, o lo spazza via o lo confonde. E noi, proiettati come eravamo nell’impresa al punto da immedesimarci nell’obiettivo, nel sogno, nell’Oggetto bramato, noi andiamo in pezzi. Che poi è quel che racconta il tango, no? Potrei citarne mille, e mi diverto a richiamarne due poco noti.

Io sono, colui che sa mettersi in gioco, con forza e coraggio, per un cuore … sono un bacio sulla tua bocca. Senza di te non sono niente”. [Yo soy, Tango, Musica: Osvaldo Fresedo; Letra : Oscar Fresedo].

Io sono quel ragazzo, che ho scommesso senza riserve, sulle tue labbra dipinte, la gioia di vivere” [Yo soy aquel muchacho, Tango 1934, Musica: Vicente Russo / Joaquín Mora; Letra: Máximo Orsi].

Mi pare evidente che in queste citazioni l’Oggetto sia la donna amata. A voler ben vedere, l’amore incondizionato dell’Amato, non sarebbe il massimo riconoscimento desiderabile? L’Oggetto amato è quanto più di valore esista, in quel momento, al mondo. E cosa vale di più dell’essere riconosciuti da chi ha, da parte nostra, il massimo riconoscimento? O certo, a volte questo meccanismo diviene persino più sottile e, per alcuni di noi, il massimo riconoscimento è nel riuscire nell’impresa di “salvare” l’Oggetto amato. Qualcuno la chiama “sindrome della crocerossina”, io “delirio di onnipotenza”. Un bisogno derivante probabilmente da quello di riscattarsi da un fallimento precoce. Io, ad esempio, credo ancora di rimproverarmi di non essere riuscito a salvare la mia bisnonna, colpita da un malore mentre giocava con me.

Questa dinamica la racconta bene un tango: “Sono un arlecchino, un arlecchino che salta e balla, per nascondere, il suo cuore pieno di dolore … mi ha inchiodato alla croce, la tua parvenza di Maddalena, mi sono illuso di essere un Gesù, e di salvarti… Eri una donna, così come mia madre, mi sono illuso e ho perso. Ho vissuto nel tuo amore, una speranza, L’inutile anelito della tua salvezza …”. [Soy un arlequín, Tango 1929, Música: Enrique Santos Discépolo, Letra: Enrique Santos Discépolo]

Qui “eri una donna, così come mia madre” forse cela il bisogno di un riscatto per non aver meritato l’amore materno… chissà.

Che poi lo puoi anche affrontare, il naufragio derivante dalla perdita dell’Oggetto amato, con grinta, come racconta questo tango: “Lo vedi!… mi hai lasciato, abbandonato, dimenticando quell’amore. Quella era tutta la mia illusione. E ti aspettavi che io fossi, a guardarti in ginocchio, per implorarti di tornare. No, questo no!… Agli uomini come me, il coraggio non manca, anche se perdono il loro amore. Lo vedi!… Non nego che ti amo, ma sono un uomo intero. Come dovrebbe essere un uomo”. [Yo soy al mismo, Tango, Letra : Edmundo Rivero, Música : Víctor Felice]

Sere fa pensavo che, per quelli che come me non hanno il dono della fede, tutto è destinato a svanire nel nulla, percezione resa più forte dal non avere dei figli. Tutto allora sembra solo un’ombra, un sogno, una illusione. Sempre più spesso lo sguardo si volta indietro, non trovando più un appiglio, un Oggetto in cui sperare, su cui proiettare il sogno che porti di un passo avanti il respiro vitale, quel fremito d’emozione che un tempo riverberava nelle tele dai colori accesi, nelle poesia intense.

Mercoledì scorso sono sceso alla stazione di Pavia. Erano anni che non rivedevo quella piazza. E là ho incontrato il vivido fantasma dell’abbraccio di una donna amata e del suo profumo, e sono tornate, d’un tratto quelle emozioni, e nostalgia, per quello che sono stato e non riesco più ad essere. Così, ho anche io pensato: “Sono quello che se ne è andato, lo so, ogni volta che torno. Io sono quello che è andato via ed è rimasto, come nei miei ricordi. Io sono quello che se ne è andato, sono le cose che ho lasciato, non farmi dimenticare, amici e caffè, musica e anche, giocare a pallone con i bambini”. [Yo soy el que se fue, Tango, Musica e Letra di Lucio Arce].

Io sono… Forse io sono come la poesia del Tango, che si intromette nella melodia, come un pugnale, per cantare il tradimento delle illusioni e dei sogni: “Sono, il tango della milonga, nato nella periferia, malvagia e oscura. Ai giorni d’oggi, mi trovi nei salón, addomesticato e decadente. A cosa serve credere, perché mentire e dire che son cambiato? Sono lo stesso di ieri. Ascolta il mio ritmo, non vedi che sono il vecchio tango? E mi intrometto nella mia melodia, come un pugnale d’acciaio, per cantare il tradimento”. [Yo soy el tango, Tango 1941, Musica: Domingo Federico, Letra: Homero Expósito]

Così sono, adesso. O meglio, “asi estoy ahora”, perché forse un miracolo potrebbe trascinarmi fuori da questo “stare” e riportarmi in un “essere” che non ritrovo più, un essere per esprimere il quale non posso, come dicevo a Chiara, che rovistare tra le carte di Horacio Ferrer. Per lui, amare ed essere sono la stessa cosa. E la propria identità è nell’Amore incondizionato: Amore per l’Altro, Amore per la vita, sia come sia. Vivere di Amore essendo Amore.

Dove sei e chi sei, mia cara, solo per averti immaginato, il mio dolore di dolore oggi è stato dimenticato, trasmutandosi in un presentimento, benvenuta! Avanguardia del mio corpo disordinato, le mie labbra sono già andate alla tua vita, e ti prendo con anima nuda, nascosta dietro la mia maschera sconsolata… che tentativo di due sogni di essere mondo, donna, amore mio, fulmine addolcito, chiunque tu sia, ovunque tu sia, amore mio”. [Presagio, Tango 1987, Musica: Héctor Stamponi, Letra: Horacio Ferrer] .

Forse ora credo di sapere perché non avevo così tanta voglia di scrivere quest’articolo …

Buon tango, amica, amico mio!

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