Perché sono grato al Tango

di Andrea Sardi

CAFE’ DOMINGUEZ – Ogni mese, mese dopo mese, ho cercato di prenderti per mano e portarti nella poesia del Tango, con i miei limiti e la poca conoscenza che ho d’un universo vasto e vivo come il mare. Ogni mese la Redazione ha scelto una parola e seguendo quella sono andato ad accennare, visto lo spazio breve, quello che il Tango racconta ora sull’Amicizia, la Speranza, la Fiducia, il Desiderio, e così via. Il tema di questo mese è la Gratitudine, ed io voglio raccontarti perché io sono grato al Tango.

Amo la musica ed ho ascoltato per anni anche tango, per lo più le opere di Piazzolla, che nel 1972 pubblicò due raccolte intitolate “Música popular de la Ciudad de Buenos Aires” (titolo che voleva mettere fine alla querelle “quello di Piazzolla è tangono, non è tango”), comprendenti, tra l’altro, “Tristeza de un doble A”, “Preludio 9” (vol 1), “Oda para un hippie”, “Verano porteño” (vol2) .

Qui trovi proprio “Tristeza de un doble A”.

Opere rivoluzionarie per il tango della tradizione, dove pure un compositore come Fresedo aveva incontrato, nei suoi arrangiamenti e nella sua direzione elegante e sognante, il jazzista Dizzy Gillespie in un memorabile concerto al Rendez-Vous, come in questo tango (Capricho de Amor, Tango, Música: Roberto Pérez Prechi, Letra: Horacio Sanguinetti, nell’esecuzione dell’orchestra di Osvaldo Fresedo con Dizzy Gillespie, registrazione dal vivo al Rendez-Vous, 1956).

Più rivoluzionarie di quelle del già innovativo Pugliese, con il quale Piazzolla aveva persino collaborato prima della sua fuga per esplorare l’altra musica, quella dell’America e dell’Europa, con rammarico dell’amico e maestro (Osvaldo Pugliese & Astor Piazzolla – Juntos vol.2).

Poi, ormai sono trascorsi dodici anni, iniziai a ballare tango e, senza saperlo, a divenire parte di una delle sue letras, inconsapevolmente a dar loro vita. Come in questo tango, incontrai una milonguita. “… E in quelle notti d’estate, cosa sognava la tua piccola anima, donna, sentendo un po’ di tango … oggi ti chiamano Milonguita, fiore della notte e del piacere, fiore di lusso e cabaret”. (Milonguita (Esthercita), Tango 1920, Música: Enrique Delfino, Letra: Samuel Linnig)

A scanso di equivoci cito De Andrè: “C’è chi l’amore lo fa per noia, Chi se lo sceglie per professione, Bocca di rosa né l’uno né l’altro, Lei lo faceva per passione” (Bocca di Rosa, Fabrizio de Andrè).

Ma questo non lo sapevo e così, come in un tango, lei apparve, offrendomi forse l’ultima illusione di una gioventù perduta. Un amore dapprima incerto e scontroso, ondivago _ frangenti che si spingevano oltre il limite del bagnasciuga per poi ritrarsi in ombrose fughe _ poi, d’un tratto, “perfetto”, così che pareva proprio uscito da una pubblicità… e come quella, artificioso ed ingannevole.

Crudelmente sul cartellone, la pubblicità invita … e nel feticcio di un manifesto di carta si vende l’illusione e il cuore scommette di nuovo; e appari tu, vendendomi l’ultimo scampolo di giovinezza, portandomi di nuovo una croce…”. (Afiches, Tango, Música: Atilio Stampone, Letra: Homero Expósito).

Un amore nato e consumato con la colonna sonora del tango, e così, come in un tango “Ci incontrammo, io e te, e per parlare ci fermammo. Avevi qualcosa di particolare, quando tacevi, quando ridevi … la schermaglia sentimentale iniziò quel pomeriggio. Poi… quanto poco rimase! Il vento portò via tutto… La luce di un fiammifero era, il nostro amore ormai passato. È durato così poco… lo so… come il bagliore che dà luce… La luce di un fiammifero era, niente di più, il nostro idillio. Un’altra illusione che va via dal cuore e non torna più…” (La luz de un fósforo, Tango 1943, Música: Alberto Suárez Villanueva, Letra: Enrique Cadícamo).

Come altri amanti delusi prima di me, presi a scrivere. Nella mia casa bohemien, scrivevo, bevevo e piangevo, ascoltando tango, dedicandole quello che (ma non lo sapevo, me lo dissero poi amici argentini leggendolo) era il libretto di un’opera tango. Percepivo a poco a poco il significato delle parole delle letras, e poi ancora lo cercavo, accorgendomi, a poco a poco, di non essere solo. Sentendo che quei poeti mi parlavano e sopratutto mi comprendevano.

Fu molto tempo fa e, se un’illusione se n’era andata, il Tango era emerso nella mia vita, che pure inconsapevolmente era stata un tango già da prima, dando a volte una risposta alle mie domande sul senso del vivere, a volte, pur senza risposte, facendomi compagnia.

Per questo sono grato al Tango, alla voce ora struggente, ora vivace ed incalzante del bandoneòn, a quella languida del violino, al ritmo del basso e al controcanto del piano. Sono grato a Contursi, Gorrindo, Exposito, Manzi, Cadicamo, Ferrer … a tutti i poeti, come ai compositori, musicisti, cantanti che con il colore della loro musica e della loro voce hanno fatto risuonare in me parole ruvide e dolci come la carezza di una mano saggia ed amica.

Una gratitudine così sentita (e ora mi prenderai per matto, lo so) che una notte sognai d’incontrare Juan D’Arienzo, in Piazza del Duomo, a Milano, seguito da due suoi musicisti, tutti in frac, e gli dissi “Grazie, Maestro, per tutta la bella musica che ha scritto!”.

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