L’APPRENDIMENTO

Come possiamo agire quando non v’è stimolo? Se la strada è oscura il cammino non è incoraggiante, che
fare se si è soli come unici costruttori di sogni e nessuno condivide la nostra prospettiva?

L’EDITORIALE – Mi ritrovo in questa alba autunnale a scrivervi con rinnovate parole per dei mesi futuri che non avranno un ottimo eco. Spesso l’ambiente in cui viviamo e le notizie riportate conformano la nostra mente a stati vitali non sempre veri, l’impossibilità di parlare come vorremmo nasconde un naturale pudore per il rispetto della cerchia sociale che abbiamo.
Per settembre ho cercato di guardare a un atto di reazione personale, dal nome insolito ma efficace e
sempre a portata di pensiero: l’apprendimento.
Come possiamo agire quando non v’è stimolo? Se la strada è oscura il cammino non è incoraggiante, che
fare se si è soli come unici costruttori di sogni e nessuno condivide la nostra prospettiva?

C’è un concetto che risuona da giorni nelle mie letture: noto che solitamente l’apprendimento parte da un punto per arrivare a un altro; se non è A per arrivare a B allora è la causa come madre di una conseguenza; dal generale al particolare … il mondo in un granello di sabbia.

Ovviamente si tratta di una convenzione, un pattern sociale, ma se ricordo la teoria delle monadi di Leibniz che richiama alla regola che ogni uomo è un universo a sé, allora forse sarebbe saggio comprendere come ognuno di noi abbia le sue ragioni. Bene, andiamo avanti:
ogni processo di apprendimento ondeggia fra ciò che è stato e ciò che vuole divenire, e lo stato di esistenza attuale è nel presente.
Non credo che ci si possa affidare a teorie generali, anche se ci sono esempi propositivi.
Penso piuttosto che sia sotto la nostra personalissima lente che vada adottato un modus. Tutto ciò è
eretico se pensiamo alle regole delle religioni o altre discipline di vario tipo, ma esse non dovrebbero
decidere per noi … alla fine noi siamo sempre figli delle nostre personali esperienze.
E quando di queste ci si rammenta per ricordare il bene o il male, la delusione e la vittoria, non è forse
l’apprendimento mentale-fisico-spirituale che ci permette di rimembrare?
Dunque ricordiamo e impariamo perché abbiamo appreso il nostro vissuto.
Prendiamo dall’esterno, elaboriamo con i sensi e nutriamo internamente il modello del nostro piccolo “io”
interiore.


Pensa pure a quello che provi a teatro:
è sempre una forma di apprendimento quando ti metti nei panni di un personaggio;
vivi, apprendi la sua realtà e filtri la tua con le sue emozioni provando sensazioni che non ti
appartenevano … almeno fino all’interpretazione.


Così fu per le grandi interpretazioni del mondo del cinema, divi e dive che del mondo la loro ostrica hanno fatto, fuori belli e vivi ma alcuni segretamente sofferenti e svuotati dal tempo, in questo però immortali e rivivificati dai ricordi.
La cosa meravigliosa è che si capisce da questi grandi studi, non ammettendolo sia chiaro, che gli attori
diventano quello che già erano, apprendendo qualità umane e sentimenti che avevano solo visto in
parallelo cominciano a percepire altre sfumature di personalità.

Nella loro solitudine apprendono l’anima di un altro, dicono le sue parole, muovono col loro corpo, parlano ad altre donne e uomini che furono altri anni addietro.
Così, come il musicista considera lo strumento una parte del suo corpo, l’attore vede il personaggio che
interpreta un nuovo amico a cui guardare, e ancora, lo sportivo apprende nuovi modi del suo agire
imperando fra spazi e lo studioso assume le ideologie e sensibilità di un passato che non c’è più.
Prendiamo dal passato per comprendere il presente, ma quello che facciamo è scalpellare la porta per il
nostro futuro.
L’apprendimento è la ragione per cui scolpisci in quel modo la tua entrata del domani.
Buon settembre.

Paolo Cavaleri

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