LA PAZIENZA: Limbo di passaggio

Nell’accettazione temporanea per condannare la rassegnazione

.

L’EDITORIALE – Carissimi redattori e amati lettori
come preannunciatovi in queste ore apriamo un altro ciclo letterale per una linea unica e autorale.
L’estate, come stagione, ha la particolarità di essere intensa e breve, semplicemente per un fatto di inclinazione sociale: le laboriose ore del lavoro sotto il torrido sole, vengono accompagnate dal bel pensiero di poterci immaginare in un altro posto, con altre persone per vivere e ricaricarsi calmando i pensieri.

È proprio qui che ho trovato interessante lanciare il tema della pazienza:
… personalmente credo sia necessaria soprattutto quando perduta, non è sempre per demeriti nostri se le cose non funzionano, perciò vorrei coltivare con voi, ciò che banale sembra ma ci offre la moltiplicazione di altre variabili che, modificato l’atteggiamento, ci renderanno più saggi”.

Ora, concedendoci un po’ di leggerezza, vengono a mente altre parole accanto a questo concetto, quelle della lentezza o della calma, e tutto ciò oggi sembra non solo impossibile ma ridicolo. Attenzione perché, quando tentiamo di far valere qualcosa che ‘sembra’ dissonante alla massa, veniamo visti con tale accezione … ridicoli.

Ebbene, è interessante notare come la pazienza, oggi neanche considerata come qualità ma come difetto, paradossalmente venga vissuta da noi stessi come un qualcosa da adottare ipoteticamente quando proviamo un senso, anche piccolo, di inadeguatezza.

È un processo autonomo, davanti al fallimento e le delusioni, alla perdita di qualcuno come affetto o l’inaspettata dipartita delle comuni intenzioni che spariscono, noi adottiamo due comportamenti:
o lasciamo perdere per optare a qualcosa che crediamo migliore, oppure cominciamo a diventare pazienti. Ancora una volta, scrivendo, percepisco il perché essa possa essere adottata nei percorsi delle nostre scelte: noi pazientiamo quando teniamo a qualcosa, a qualcuno, e il voler lasciar perdere quella prospettiva non ci passa neanche per la testa.

Qui siamo in un campo dove prende forma la futura identità, ma c’è anche da aggiungere come la calma e la riflessione siano doti vitali per l’approfondimento di una disciplina che ognuno di noi sente propria.
È un’appartenenza quella del reale settore voluto, che a un certo punto non farà neanche fatica scegliere, e considereremmo come, molto spesso, siamo preda delle aspettative altrui.

È del tutto normale, come lo è purtroppo il fatto che essere profondi, o, volgarmente detto, lenti, venga vista come deficienza mentale. Deficienza significa mancanza, ma non è un deficit reale perché rapportato a una massa, quale apparteniamo, che costantemente vive collegata con una rete globale dove il digitale offre quante più soluzioni si possano immaginare.

Tutto ciò è straordinario, essere in altri posti rimanendo dove si è, ma ciò dovrebbe essere visto come la possibilità di vedere i propri cari dall’altra parte del globo, oppure acquistare merci per necessità o svago. Molto spesso questa efficienza temporale, ha portato alla deficienza reale dei propri bisogni e a dir la verità ne ha immessi altri che sembravano impensabili molti anni fa, arrivando a non desiderare qualcosa perché in fondo sappiamo di poterla usare.

Non voglio, e non posso, denigrare la modernità del presente, potremmo parlare di come le stesse materie di studio o altre forme di apprendimento, fino a toccare i processi creativi, si siano facilmente trasformati in formule da imparare a memoria. Tutto per apparire studenti meritevoli, imprenditori efficienti o artisti rivoluzionari. Le conoscenze teoriche, quasi più praticate, fanno degli insegnanti operatori che devono essere solo equipollenti, e io, cresciuto nella testa da insegnanti, che vedevo come protettori morali di una società in evoluzione, e che in parte lo sono ancora, ora comprendo le loro difficoltà nel far passare moltissimi concetti in pochi minuti, quel sano tempo che potrebbe ancora dedicarsi all’approfondimento, alla contemplazione della bellezza per riconoscere la meritocrazia della ricerca.

La pazienza, con la calma e il piacere della lentezza per godere del proprio fare, pensare e sentire, sono qualità da riscoprire per la reale possibilità di osservare veramente un tessuto civile che cambia molto velocemente.


Una curiosa abitudine caratterizza il nostro tempo: l’agoniata quantità dei risultati oltre i normali standard temporali, cioè, si crede che prima facciamo una cosa, e prima ne possiamo iniziare altre, ma più interessante è che più diverse pensiamo di farne, più che crediamo di essere forti, migliori e di esempio.
Potrebbe funzionare benissimo, ma non per tutti, ed è scomodo vedere come non vi sia mai il tempo di ritrattare come vorremmo i nostri percorsi, rivederli nel senso più puro … di come credevamo o volevamo che fossero.

Parlo di quello che tutti avremmo voluto autonomamente, quando passione, desiderio e curiosità animavano le corde di una decisione iniziale e i cambiamenti erano sorprese.

Forse, alla fine viene per tutti noi il momento di crescere, evolvere e capire che essere pazienti non significa stare fermi, bensì avere la capacità di accettare che le cose non andranno più come avevamo previsto, ma forse addirittura in meglio, soprattutto per chi apprenderà altri tipi di insegnamenti.


Magari saremo ancora in un altro sistema di controllo, ma operatori di un futuro in cui si ricalibreranno intenzioni ed equilibri, perché in fondo prima di correre dovremmo saper camminare.






di Paolo Cavaleri

Condividere è conoscere!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *