“Letizia Battaglia sono io”

Si è conclusa la mostra a Genova, inaugurata lo scorso aprile

di Elisa Heusch

©QUARTO OCCHIO -Si è conclusa la mostra a Genova, inaugurata lo scorso aprile

La tematica di questo mese di novembre de La Redazione Online è il passato, inteso come “scrigno” di valori e di ricordi che compongono la nostra esistenza, testimoniando da dove proveniamo, per farci acquisire consapevolezza di come proseguire e di dove vogliamo arrivare.

Riallacciandomi a questo importante tema vi voglio raccontare della straordinaria Letizia Battaglia – fotoreporter, editrice, ambientalista ed attivista per i diritti civili – e della mostra fotografica che le è stata dedicata nelle sale del sottoporticato di Palazzo Ducale a Genova, conclusasi pochi giorni fa.

Ogni volta che ripercorro la vita della protagonista e la sua carriera di fotografa, intrisa di grande sensibilità e coraggio, mi emoziono nel profondo, soprattutto per il fatto di aver avuto la fortuna di conoscerla di persona e di averla incontrata in più occasioni prima che lasciasse questo mondo.

Come ha scritto il curatore Paolo Falcone sul depliant esplicativo della mostra “Letizia battaglia sono io”, la fotografa di Palermo, scomparsa nell’aprile 2022, assume oggi una valenza fondamentale nella storia della fotografia a livello internazionale.

L’espressione del titolo “sono io” non è stata scelta da Letizia ma dai curatori della mostra, che hanno estrapolato l’espressione da una sua frase più articolata, comparsa in un’intervista di qualche anno fa.

Di certo non le piaceva essere identificata, come spesso avveniva, con l’appellativo di “fotografa della mafia”, perché anche se ha grandi meriti nell’aver documentato, a partire dagli anni ’70, centinaia di drammatici fatti di cronaca della sua Palermo, lei era anche molto altro oltre a questo, ed il suo sguardo nel corso dei decenni non ha mai perso quella che si potrebbe definire un’attitudine alla bellezza.

Ne sono un esempio i ritratti che ha realizzato alle bambine palermitane, immagini intrise di poesia e dolcezza, se pur rappresentative di una condizione sociale alquanto drammatica.

Ha infatti raccontato più volte: “Il sogno delle bambine mi emoziona; ho cercato il loro sogno di trovare amore, un futuro fantastico, avventure, pace, libertà e bellezza. In loro ritrovo me stessa bambina.”

Quelli delle “sue” bambine sono sguardi ricchi di dignità e muta rassegnazione, con cui Letizia ha costruito un profondo e intimo dialogo, pieno di comprensione e sincero rispetto, come nel caso dell’ormai iconica immagine de ‘La bambina con il pallone’ del 1980.

Senza dubbio la mostra di Palazzo Ducale è andata oltre gli schemi e le cronologie, costruendo una sorta di opera polifonica che desse una visione unitaria al lavoro della fotografa, durato quasi cinquant’anni.

Sia la sua fotografia che la sua vita quotidiana sono confluite in un unico percorso che ha fatto risaltare la straordinaria sensibilità sia umana che visiva di Letizia, ed il suo coraggio di essere sempre molto vicina alla scena per conquistare l’immagine, spesso in situazioni estreme, ma nelle quali non ha mai messo da parte – a differenza di molti suoi colleghi dell’epoca – l’etica e il rispetto per la dignità umana.

È stata lei stessa a raccontare, nei contributi video e nelle interviste che ne hanno fatto parte, quanto la fotografia l’abbia aiutata nel suo percorso personale di emancipazione come donna e come madre, in un’epoca in cui il patriarcato e un’impostazione maschilista erano ancora ben radicati nella società.

In un’intervista piuttosto recente la Battaglia rispondeva così a chi le chiedeva la ragione del suo agire:

Io sono una che ha fatto reportage rimanendo nella città dove vive…Per me ‘reportage’ significa andare al cuore delle cose, di un luogo, di una città, di un gruppo di persone, cioè scavare con l’immagine.

Questa azione di ricerca profonda, e anche di necessità dell’essenziale, colpisce molto all’interno del percorso della mostra e la narrazione che si è presentata ai nostri occhi – se pur legata al passato – è una narrazione di perenne attualità, una narrazione che diventa e rimane DI TUTTI.

Il suo modo di narrare è intriso della più cruda verità, ma nello stesso tempo si percepisce il rispetto che aveva verso la vita, verso la morte e verso il dolore degli altri, come lei stessa racconta in un’altra parte del video, spiegando le immense difficoltà da lei incontrate, e le discriminazioni subite ad inizio carriera negli anni ’70, quando ad una donna era quasi preclusa la possibilità di diventare giornalista, e anche fotografa – nel suo caso di cronaca.

Letizia non si è mai fermata o arresa nonostante le avversità che incontrava, nonostante le minacce di morte e le intimidazioni ricevute da quei mafiosi che per avere il predominio non esitavano a compiere i più efferati delitti per le strade di Palermo, uccidendo molte persone innocenti e non coinvolte nei loro traffici, come nel caso delle stragi che tutti ricordiamo.

Letizia non si è mai preoccupata di essere ‘scomoda’, né ha mai voluto fingersi diversa da com’era solo per piacere a qualcuno: il suo unico vero obiettivo è sempre stato essere VERA.

Oltre alle 75 immagini in bianco e nero della prima e della terza sala – sapientemente appese al soffitto – che hanno ripercorso la sua carriera e la sua vita dall’inizio alla fine, la mostra ha ospitato anche alcuni numeri di “Grandevù – Grandezze e bassezze della città di Palermo”, la rivista che ha pubblicato insieme a Franco Zecchin a partire dal 1986. Era una rivista schietta e irriverente, che si occupava di cultura e di investigare il sociale, nella quale la fotografia e la grafica appositamente appariscente hanno assunto un ruolo e uno spazio dominante nella costruzione della composizione editoriale.

In mostra erano presenti inoltre alcuni libri facenti parte della sua casa editrice, “Edizioni della battaglia”, con cui Letizia volle dar voce al profondo dolore legato alle stragi del 1992. Ne fanno parte più di 150 titoli, distribuiti in diverse collane, che spaziano dalla poesia alla politica, dall’ecologia al cinema o alla critica d’arte.

Nella seconda sala, adiacente all’area dedicata al toccante contributo video “La mia Battaglia” – nel quale la fotografa si racconta sotto vari aspetti e sfaccettature, tra cui la sua indimenticabile esperienza dentro l’ospedale psichiatrico di Palermo – abbiamo trovato nove lavori della serie degli “Invincibili”, che Letizia ha realizzato tra il 2013 e il 2014, costruendo con immagini sue o di altri una costellazione dei personaggi appunto ‘invincibili’ della sua vita (per citarne solo alcuni Sigmund Freud, Ezra Pound, Pier Paolo Pasolini, Ernesto “Che” Guevara, e l’amico fotografo Gabriele Basilico).

In questa serie ogni ritratto è in bianco e nero, moltiplicato in tante piccole copie che in modo ordinato e geometrico incorniciano l’opera originale, con l’aggiunta di altre cornici lineari colorate di rosso, di verde o di giallo, a dare maggiore vitalità al rigore della costruzione.

L’ultima sala prima dell’uscita ospitava una parete con il riassunto completo, anno per anno, delle più importanti tappe della sua vita, corredata da ritagli di giornale che la riguardavano, ed un’altra proiezione video, composta da diversi spezzoni anche piuttosto recenti, tra cui numerose altre interviste ed alcuni suoi interventi in trasmissioni televisive.

Sono uscita dalla mostra con quel mix di emozioni che sempre aveva saputo trasmettermi Letizia Battaglia, fin dalla prima volta in cui l’ho conosciuta: una profonda ammirazione e la sensazione di conoscerla da molto più tempo, quella specie di nostalgia di volerla riabbracciare di nuovo e di non volersene staccare mai più, unita all’ulteriore conferma di quale enorme bagaglio ci abbia lasciato in dono con le sue immagini e le sue parole, attraverso il suo inesauribile coraggio e la sua tenacia.

Mi auguro con tutto il cuore che continui ad essere di esempio e insegnamento per le generazioni future.

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